Convenevoli
ovvero
chiacchiere antropologiche da bar
Ci sono diverse battute che circolano sugli antropologi. A cominciare da quella per cui, dato che di Dio si occupavano già i filosofi e dell’io gli psicologi a loro non rimanesse che interessarsi allo…zio. Qualcun altro ha invece notato che, a differenza dei sociologi (che hanno problemi con gli altri) e degli psicologi (che hanno problemi con se stessi), gli antropologi hanno spesso problemi… sia con se stessi sia con gli altri.
Come se non bastasse, anche sui metodi qualitativi dell’antropologia, che non disdegnano i contesti informali, gli incontri casuali e gli accidenti legati alla serendipity, qualcuno ha avuto da dire. “Gli antropologi fanno chiacchiere da bar” sostengono gli scienziati “duri e puri” E come dare loro torto? L’ingresso sul campo si gioca spesso in luoghi informali, come può essere quell’unico, piccolo, bar di montagna sopravvissuto in una valle ormai semivuota. Non sarà un caso se alcuni dei nostri maestri ci hanno insegnato – ovviamente senza scriverlo nei loro manuali – che chi decide di dedicarsi all’attività etnografica non può permettersi di essere astemio. Negoziare il campo significa anche trovare il modo giusto per fare i primi convenevoli, ovvero quelle chiacchiere dapprima un po’ formali che aiutano a entrare in confidenza. E come si fa a entrare in relazione con qualcuno che non si conosce se si inizia rifiutando un bicchierino che scioglie la lingua e apre le porte della comunità?
Non potevano quindi che intitolarsi “Convenevoli” le nostre prime riflessioni sull’antropologia applicata in montagna, premesse a i ragionamenti che vogliamo fare da qui in avanti attraverso le tre rubriche di Terre Alte (Sentieri, Panorami e Crinali). Nelle quattro puntate di “Convenevoli” discuteremo di antropologia applicata e pubblica, di antropologia alpina, di ricerca- azione e dei metodi e degli strumenti partecipativi che abbiamo sperimentato sul campo all’interno del progetto “Montagne in Movimento”.
Nella prima puntata di “Convenevoli” due antropologhe, Valentina Porcellana e Silvia Stefani, delineano alcune differenze tra antropologia pubblica, antropologia applicata e antropologia trasformativa. Fino a tempi recenti, l’antropologia applicata è stata guardata con una certa diffidenza dalla comunità scientifica. É solo negli ultimi anni che, anche in Italia, grazie alla creazione della SIAA – Società Italiana di Antropologia Applicata e dell’ANPIA – Associazione Nazionale Professionale di Antropologia si è potuto iniziare a discutere in maniera più articolata sul ruolo dell’antropologia in contesti esterni all’accademia. Sempre più spesso, infatti, antropologi e antropologhe sono chiamati/e a lavorare all’interno di contesti socio-sanitari, educativi, ma anche all’interno di organizzazioni, a collaborare con amministrazioni pubbliche ed enti privati, con comunità locali per affiancare processi di trasformazione e di valutazione. Questi posizionamenti esterni all’accademia hanno portato a importanti riflessioni su aspetti etici e metodologici della pratica antropologica.
Quali sono le caratteristiche che deve avere un/una antropologo/a applicato/a o che intende contribuire effettivamente al cambiamento? Quali caratteristiche deve avere un intervento antropologico di questo tipo? Quali strumenti sono più funzionali?
A queste e altre domande cercheremo di dare risposta non soltanto nelle quattro puntate di “Convenevoli”, ma soprattutto nel corso degli approfondimenti che saranno sviluppati all’interno delle rubriche di Terre Alte … vi fermate a bere qualcosa?